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Racconti disumani
Perchè spesso la libertà è solo una "meta miraggio"
   10 Mar 2023   |     Redazione   |     Laura Casella   |     permalink   |      commenti
In mezzo ad una buia sala del Teatro Franco Parenti, prima una scimmia e a seguire una talpa prendono parola per portare in luce il proprio vissuto, recitando ciò che Franz Kafka racchiude in due dei suoi più stimati elaborati: Una relazione per un’Accademia e La tana”. La regia di Alessandro Gassmann sceglie quindi di legare questi due scritti in uno spettacolo intitolato “Racconti disumani”, dove “disumani” è un aggettivo molto più riconducibile alla sua accezione di angoscia ed inquietudine piuttosto che al fatto che le voci provengano effettivamente da animali. D’altra parte, questi due quadrupedi, possiedono moltissimi aspetti che possono essere ricondotti a quelli di un essere umano, prestandosi perfettamente come elemento di partenza per un confronto nel primo caso e una metafora nel secondo.

Con “Una relazione per un’Accademia” (1917) un simpatico scimpanzé vestito di rosso, ripercorre ciò che dalla foresta lo ha portato ad assomigliare sempre di più ad un uomo sapiens sapiens (come lo descriverebbe la scienza). Sfruttando la sua intelligenza è infatti riuscito ad abbandonare quasi tutti i comportamenti più istintivi del suo essere scimmia, ad eccezione di alcuni versi e modi di muoversi, per imitare e adottare quelli dei suoi addomesticatori col fine di potersi guadagnare una miglior sopravvivenza ed elevare la sua condizione di prigionia nei confronti di una libertà soltanto apparente. Questa sua metamorfosi infatti gli consente di rendere più “piacevole” una condizione che parte già con il presupposto che non potrà mai essere del tutto ottimale.

Ne “La tana” (1931), invece incontriamo Mario, un’organizzatissima talpa che, a distanza del tempo di percorrenza nei molteplici tunnel sotterranei, sbuca in superficie per raccontare con orgoglio dettagli su come sia riuscito ad architettare e realizzare questo suo rifugio-fortezza che gli consente di sentirsi al sicuro e protetto. Un lavoro che non ha mai fine, che si ripete ciclicamente nelle azioni, impegnandolo a non affrontare la sua effettiva sensazione di solitudine e paura nei confronti dell’esterno sconosciuto. Una lieve sensazione che però, dopo un po’ inizia, a “raschiare” sempre più protentemente senza sosta da dentro (la tana o la sua testa?) e che quindi lo mette delle condizioni di voler abbandonare questo suo punto di riferimento che non è più così accogliente come prima.

Due articolati monologhi che grazie alla bravura dell’attore Giorgio Pasotti ed alle sua abilità di cambiare stile di recitazione al “cambio di pelliccia”, incollano l’attenzione dello spettatore dall’inizio alla fine dell’esibizione. Due protagonisti, due temi diversi, e due diverse metodologie di vivere ed occupare il palcoscenico: se la scimmia alterna diversi livelli di “accovacciamento” sulle varie altezze della sua seduta tra una proiezione di ambientazione e l’altra, la talpa dona dinamicità alla narrazione, frammentando i suoi interventi per poter solo “ipoteticamente” cambiare punto di vista poiché, seppur a distanza di pochi metri, emergeva comunque dal basso della sua tana.

“Racconti disumani”, è proprio quel tipo di spettacolo che, in cammino verso casa, a seguito dei fragorosi applausi, ti fa rielaborare ogni sfumatura degli avvenimenti per capire ed interpretare e, perché no, immedesimare quello che si è visto e sentito. Infatti, nonostante siano ormai intercorsi 100 anni dalla data di scrittura, questi due racconti kafkiani sono ancora moderni ed estremamente attuali dove, tra dinamiche di divisione sociale, minacce alla salute e attentati alla pace, la perdita dell’identità e la paura del mondo esterno vengono interpretati come elementi di disumanizzazione.
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