Delitto e Castigo, tratto dal romanzo di Dostoevskij pubblicato nel 1866, debutta con la prima milanese al Teatro Menotti dal 2 al 7 dicembre nell’allestimento firmato da Andrea Baracco con la Compagnia Mauri Sturno, che riporta in scena, per la prima volta dopo vent’anni dal debutto, l’adattamento di Glauco Mauri: un ritorno che è insieme omaggio e passaggio di testimone dopo la scomparsa dei fondatori.
Siamo nella San Pietroburgo dell’Ottocento, osservata attraverso gli occhi febbricitanti e inquieti di un giovane studente, Raskol’nikov, interpretato da Gabriele Gasco. La città è un organismo ostile: soffoca, schiaccia, respinge. In questo soffocamento nasce il suo progetto di trasgredire la legge per affermare se stesso, gesto che crede necessario per non scomparire nella massa degli invisibili. L’azione criminale diventa un esperimento identitario, il tentativo di capire chi egli sia davvero.
Raskol’nikov è infatti ossessionato dalla sua teoria dell’uomo straordinario e dell’uomo ordinario. I primi, rari, sono coloro che superano la morale comune perché portatori di un’idea superiore, capaci di rifare il mondo da zero, come Napoleone, Maometto, Cesare o Lutero. Gli altri, gli ordinari, vivono dentro i confini: obbediscono, sopravvivono, accettano il sistema. Raskol’nikov si chiede a quale categoria appartenga, se sia un insetto o un Napoleone. Se fosse davvero straordinario, non ci sarebbe spazio per il delirio, per la paura, per il senso di colpa. Ma l’idea che lo guida, invece di elevarlo, lo incendia. E lui, prima ancora della prigione, scopre di essere tormentato da qualcosa di molto più feroce: la paura di ciò che vede dentro di sé.
Ma quel gesto, una volta compiuto, apre una voragine, un senso di colpa che non è solo rimorso, ma delirio. La vita di Raskol’nikov diviene un confine continuamente sfocato tra ciò che accade e ciò che immagina: dove finisce la realtà? Dove inizia la follia? La sua è una lotta per non sprofondare, una resistenza quasi animale: il corpo malato che non accetta di cedere, la mente che si aggrappa all’ultima possibilità di riscatto, la paura che diventa improvvisamente coraggio, o incoscienza, fino al punto in cui non si ha più nulla da perdere.
In scena vediamo un uomo che vive col conflitto silenzioso e assordante, quel delirio in cui ogni movimento, ogni voce, ogni sguardo è un promemoria del gesto compiuto. Il terrore del riconoscimento non è quello della giustizia, ma quello del proprio riflesso.
Il crimine, così, si inserisce in un contesto di miseria materiale, sociale, spirituale. Una città che consuma, opprime, priva l’individuo della sua identità fino a svuotarlo, a farlo evaporare. In questo panorama di desolazione, gli altri personaggi diventano specchi più che figure: la sorella Dounia, che porta sulle spalle un destino più grande di lei, è per Raskol’nikov il richiamo alla vita che non riesce più a sostenere; Sonja, la giovane donna che sacrifica se stessa per sopravvivere e per salvare gli altri, è la possibilità stessa della redenzione; Razumichin, l’amico leale che cerca di trattenerlo dalla caduta, incarna il mondo che Raskol’nikov rifiuta ma che continua, ostinatamente, a chiamarlo; infine Porfirij, il giudice istruttore, indaga con calma e sapienza, come se sapesse che la verità emerge solo nel silenzio, quando il colpevole non ha più scampo davanti alla propria coscienza.
La dualità vittima-carnefice, apparentemente così netta, si sgretola. Non c’è opposto che resista: né bene-male, né amore-odio. Esiste solo una fragilità diffusa che accomuna tutti, la fragilità degli oppressi e quella degli oppressori, dei miti e dei brutali, dei ricchi e dei poveri, dei credenti e degli atei. Un mondo dove ognuno, come Raskol’nikov, cerca un senso e troppo spesso non lo trova.
In questo allestimento Delitto e Castigo diventa un viaggio nella colpa che si deposita nella coscienza come un peso e non si lascia più muovere, alla ricerca di quella verità scomoda che restituisce Raskol’nikov non come un assassino, ma come un uomo che si è perso nel tentativo disperato di salvarsi.
La sua caduta non è punizione, ma rivelazione.
E la sua redenzione, se esiste, non passa dalla legge, ma dallo sguardo che finalmente riesce a rivolgere verso se stesso.
Come si guarda un delitto col silenzio che lo cosparge dopo l’azione? Come lo si ascolta?
Un silenzio che ci appartiene, quando ci accorgiamo che la linea che separa il giusto dallo sbagliato è infinitamente più sottile e più umana di quanto vorremmo credere.
Locandina:
Delitto e Castigo di Fëdor Dostoevskij nell’adattamento teatrale di Glauco Mauri
Regia: Andrea Baracco
Scene e costumi: Marta Crisolini Malatesta
Musiche originali e suoni: Giacomo Vezzani e Vanja Sturno
Disegno luci: Umile Vainieri
Drammaturgia: Maria Teresa Berardelli
Con: Gabriele Gasco, Woody Neri, Giulio Petushi, Arianna Pozzi, Aurora Spreafico, Paolo Zuccari
Produzione: Compagnia Mauri Sturno
Durata spettacolo: 150 minuti
[A cura di Margot Océane]
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Delitto e castigo
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