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Very Long Song Artist

Very Long Song Title

Anna Cappelli
Dove il bisogno di possedere l’altro diventa il desiderio disperato di non scomparire
   04 Nov 2025   |     Redazione   |     Margot Boccia   |     permalink   |      commenti
È ancora in scena al Teatro Franco Parenti fino al 9 novembre 2025 Anna Cappelli di Annibale Ruccello, interpretata da Valentina Picello con la regia di Claudio Tolcachir.
Una produzione che restituisce al pubblico la potenza disturbante di un monologo tra ironia e delirio, tra amore e ossessione.

Piedi nudi si muovono in una distesa di terriccio, in cui affondano oggetti che delineano spazi precisi - un lampadario, una lavatrice, una cyclette, un tavolino con accanto una poltrona e uno specchio, un frigorifero disteso a terra.
Frammenti di una casa comune, che richiama una quotidianità stanca, pesante, ripetitiva, che diventa però anomala, disturbante, quasi surreale.
Un disordine che attrae, perché parla di noi: quel caos sommerso che abita le nostre stanze interiori, una realtà abbandonata che si percepisce forse nel profondo segreto avvolto dalle quattro mura domestiche.

La scena è attraversata da un solo corpo: Anna Cappelli. Personaggio del monologo scritto nel 1986 da Annibale Ruccello, regista e drammaturgo teatrale napoletano tra i più lucidi nel raccontare l’inquietudine femminile e la solitudine provinciale.
Una storia che si muove tra la follia e la ragione, nella quale una giovane donna, allontanandosi dalla famiglia con cui aveva un rapporto morboso, si ritrova catapultata in una situazione parimenti opprimente a casa della Signora Tavernini, all’interno di mura che diventano camera a gas, in un ambiente mefitico, con odori nauseabondi.
Ormai rassegnata dal suo ruolo da zitella, si lancia comunque a fondo in una relazione iniziata formalmente con il ragioniere Tonino Scarpa.

Qui, col passare del tempo e con i limiti imposti da una relazione solo in apparenza tranquilla, emerge un desiderio sempre più ossessivo: quello di possedere tutto, di colmare ogni mancanza.
Dalla volontà di avere una casa tutta per sé fino al bisogno di appartenere completamente a una vita, quella del ragioniere Tonino Scarpa, che diventa presto il centro del suo mondo.
Ma la sua stabilità economica e affettiva si rivela fragile, precaria, incrinata da un ambiente sociale ipocrita e perbenista che non tollera la sua relazione con Tonino. In questo contesto, il sogno piccolo-borghese del matrimonio, della famiglia, della casa inizia lentamente a sgretolarsi.

Tonino, con la sua freddezza disarmante, riduce tutto a un’inutile convenzione, spegnendo l’unico appiglio di senso che le restava.
Quando le comunica la sua decisione di lasciarla, qualcosa in Anna si rompe.
La mancanza d’aria, il vuoto dell’abbandono, la paura di tornare sola diventano un vortice che la trascina oltre ogni limite: un amore che non è più sentimento, ma necessità, ossessione, sopravvivenza.

Anna è assenza, percepita come mancanza.
Un forte malessere d’incomunicabilità attraversa i suoi dialoghi con la signora Tavernini, con il padre, la sorella, Tonino e con se stessa: non c’è comprensione reciproca, come se lo spazio del dialogo tra l’uno e l’altro fosse infinito, mediato da lingue diverse nonostante la chiarezza apparente del linguaggio.
Contrariamente a tutte le altre opere di Ruccello, Anna Cappelli non parla dialetto, ma un italiano corretto, piatto, volutamente neutro: a sottolineare il grigiore e la monotonia di una vita che, per lo scrittore stesso, era “acusticamente sgradevole”, tanto da suscitare in lui una profonda repulsione.

L’assenza del dialetto diventa così per Ruccello un modo per affermare la propria forza espressiva e, forse, una provocazione verso chi lo accusava di non saper andare oltre Roma per il suo uso del linguaggio dialettale.
In Anna, la lingua si inceppa: le parole si ripetono freneticamente, gli articoli si accumulano, fino a costruire un climax sempre più duro, più conciso, più tagliente.
Da quella ripetizione nasce un’assurdità sottile, un cortocircuito tra senso e suono, in cui parole apparentemente normali esplodono di tensione, svelando la vertigine nascosta nella banalità del quotidiano.

L’attrice Valentina Picello, guidata dalla regia di Claudio Tolcachir, ci conduce nella realtà confusa e dolorosa di una donna che ha tanto sofferto, al punto da spingerci quasi a comprenderla, a trovarle un senso anche nella sua follia.
Lo spaesamento e la perdita di equilibrio di Anna diventano il cuore pulsante dello spettacolo: una vita che non gioca mai le sue carte ma le lascia sfuggire, inseguendo l’illusione di poter trovare conforto, e forse salvezza, nella possessione di ciò che non si può avere — l’altro, prima ancora di se stessa.
La soluzione finale, definitiva, necessaria, appare allora come un atto di estrema follia e di disperata lucidità insieme: un gesto d’amore che diventa annientamento.

Valentina Picello attraversa tutto questo con grazia, dolcezza e una sottile ironia che lascia intravedere la malinconia profonda del personaggio. La sua interpretazione è un flusso continuo, in cui una risata si trasforma in pianto, un’espressione di disgusto scivola nella tenerezza, e tutto accade senza cesure, come nel respiro stesso della vita.
Le scene di Cosimo Ferrigolo disegnano un luogo aperto ma claustrofobico, scavato dalle luci di Fabio Bozzetta, che isolano Anna nel suo universo di vuoto e desiderio.

A piedi nudi, Picello ci accompagna nella sua malinconia, nella paura, nella rabbia e nell’ansia di esistere; ci porta dentro la grande illusione di vivere una vita che non le è mai appartenuta.
Siamo con lei — come la carezza di un padre mai ricevuta, il sorriso di una madre assente, l’odore familiare di una casa lontana, la malinconia della polvere sui mobili e dei profumi della domenica.

Anna Cappelli è come una Eva, come un’Agave nel delirio estatico che uccide ciò che ama, come le saponificatrici di una cronaca spietata: una donna che arriva a tutto pur di possedere, mossa dal bisogno umano di trattenere la vita, di non essere lasciata andare.
Desiderio nel desiderio, carne nella carne, ossa nella terra: da quell’oscurità nasce una luce che illumina il buio dentro e fuori di noi, dove gli opposti non si escludono ma si attraversano, diventando insieme inizio e fine, vita e morte, amore e paura.

Anna Cappelli è una confessione, un atto d’amore che scivola nella follia, un ritratto di solitudine umana che ci somiglia più di quanto vorremmo.

Una storia che ci mette davanti allo specchio, dove il bisogno di possedere l’altro diventa il desiderio disperato di non scomparire.



La Locandina
Anna Cappelli
di
Annibale Ruccello
regia Claudio Tolcachir
con Valentina Picello
scena Cosimo Ferrigolo
luci Fabio Bozzetta
produzione Carnezzeria / Teatri di Bari / Teatro di Roma in collaborazione con AMAT & Teatri di Pesaro per RAM


Valentina Picello
Miglior Attrice Premio della Critica 2025
ANCT, Associazione Nazionale Critici di Teatro



- Articolo a cura di Margot Océane
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