C’è un silenzio denso, meccanico, che apre “L’analfabeta”, la nuova creazione di Fanny & Alexander e Federica Fracassi, in scena al Teatro Studio Melato. È il rumore regolare delle macchine di una fabbrica di orologi in Svizzera – ritmo ipnotico, metronomo del tempo e della memoria – in cui una donna, sola, siede al suo tavolo. Scrive, o forse sogna di scrivere, in una lingua che non le appartiene: il francese.
Quella donna è Ágota Kristóf, la scrittrice ungherese fuggita dal proprio paese e costretta, per necessità, a reinventarsi in francese: “la lingua nemica”. Dopo il trionfo della “Trilogia della città di K.”, Federica Fracassi torna a darle corpo e voce, in un nuovo capitolo di quel viaggio nel continente Kristóf che Fanny & Alexander continuano a esplorare con rigore e affetto quasi ossessivo.
Sul palco, tutto è ridotto all’essenziale: la scrivania, una luce pallida, la materia sonora delle macchine che scandiscono i versi. È una scena scarna, ma vibrante, dove l’atto di scrivere diventa gesto fisico, di resistenza, di sopravvivenza. Fracassi, nei panni dell’autrice, alterna precisione e fragilità; la sua voce attraversa le parole di Kristóf come un corpo attraversa la neve: lasciando tracce, cancellandole, ritrovandole.
La drammaturgia si muove tra autobiografia e sogno, tra presente e passato. Nella fabbrica di orologi, tra le lancette che girano e il tempo che si sfalda, emergono i volti dei personaggi di Kristóf – Lucas, Claus, Sandor, Line – come frammenti di un io disperso. Non sappiamo più se stiamo ascoltando una confessione o leggendo un romanzo, dove il ricordo e la finzione si confondono.
Il tema dell’esilio attraversa l’intera messinscena come un vento gelido e lucido. L’esilio dalla patria, ma soprattutto dalla lingua madre, diventa qui una “scuola di vertigine” in cui la parola si fa esercizio di sopravvivenza e di identità. Nella regia di Fanny & Alexander, la vertigine di Kristóf non è mai spettacolarizzata: è trattenuta, concentrata, un grumo di voce che scava. La scenadiventa spazio mentale, dove il linguaggio lotta contro se stesso, e la memoria – come scrive Hélène Cixous – si unisce all’oblio per generare nuova vita: “Dall’unione dell’Oblio e della Memoria rinasciamo a volontà.”
“L’analfabeta” non è solo un omaggio a una scrittrice, ma una riflessione sulla lingua come destino. È un teatro che si misura con il limite e con la perdita, e che proprio lì trova la sua forza più pura. Uno spettacolo austero, lucido, necessario: un piccolo manuale di resistenza poetica.
Per saperne di piò potete cosultare il sito del Piccolo Teatro di Milano, mentre noi... ci vediamo a Teatro!
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L'analfabeta
Tra memoria e oblio, il corpo della parola