C'è più forza nella spinta vitale o nel blocco che ci trattiene?
Il 24 e 25 gennaio la compagnia Oyes arriva al Teatro del Borgo di Milano con il loro primo spettacolo storico prodotto 10 anni fa: Vania, con la regia di Stefano Cordella e in scena Fabio Zulli, Francesca Gemma, Umberto Terruso e Vanessa Korn.
La compagnia Oyes si approccia al testo con immenso rispetto e delicatezza, attraverso una riscrittura che vuole avvicinare lo spettatore ad una realtà più concreta alla sua, nonostante la grande contemporaneirà che vive e muove i testi di Cechov. La casa di campagna russa del XIX secolo viene trasportata in un piccolo paese di provincia lombarda ai giorni nostri. Questa casa è abitata dal Professore, che giace in coma da tempo. Non lo si vede direttamente, ma lo si percepisce attraverso i suoni e i rumori del suo respiro, che a tratti sovrasta i dialoghi degli altri personaggi, ora come sottofondo, ora come presenza persistente. In questa casa vivono anche la giovane moglie del Professore, Elena, il fratello Ivan e Sonia, figlia del primo matrimonio del Professore. A far visita e a controllare la condizione del malato c'è il Dottore, amico di vecchia data di Ivan e figura che ha visto crescere Sonia.
Le vicende si intrecciano, alimentate da ricordi nostalgici e speranze di futuri diversi. Le relazioni a tratti superficiali si mescolano con la profondità dei silenzi, che svelano segreti temuti e illusorie convinzioni, con cui i personaggi cercano di cullarsi nelle proprie ansie. Tutti sono animati da una forza vitale che è incessantemente bloccata da paure profondamente radicate.
Come in Cechov, il tema del tempo che scorre inesorabile è centrale: un tempo che accumula rimpianti per occasioni mancate e ambizioni mai realizzate. Il fulcro è il Professore, un personaggio che non si vede mai, ma che incarna il motore della vicenda in perfetto stile cechoviano: vive fuori scena e si manifesta attraverso l’immaginazione dello spettatore. Sebbene in coma, il Professore influenza le azioni e le scelte degli altri, paralizzati da un'incapacità cronica di prendere decisioni.
Il cambiamento appare impossibile, nonostante il senso di soffocamento provocato dalla monotonia di una vita insopportabile. Sonia descrive la sua famiglia come "la famiglia dei né", coloro che non restano né partono, che parlano continuamente di partire senza mai farlo, o che, se lo fanno, ritornano subito dopo. Una famiglia che non studia né lavora, un insieme indefinito e sfocato, senza un vero equilibrio. I "né" vivono come sospesi, incapaci di abbracciare una dinamicità reale. E in questa stasi, il Professore – tenuto in vita da un respiratore – è il simbolo estremo di una condizione tra la vita e la morte, in cui i movimenti sono solo riflessi corporei, privi di qualsiasi consapevolezza o volontà.
Sonia, una giovane donna insoddisfatta, scontrosa e gelosa, ma piena di vita, è intrappolata in un amore non ricambiato. Perché l’amore nasce verso chi è irraggiungibile? È forse quel desiderio stesso a costituire un limite, un rifugio da una realtà più concreta e ordinaria? Gli scambi di parole tra i personaggi spesso si caricano di aspettative, ma finiscono per rivelarsi vuoti, riempiti da un "non detto" che pesa più delle parole stesse.
Il silenzio diventa il luogo più significativo. Il Dottore consiglia a Sonia di rimanere in silenzio: si rivela essere uno dei momenti più intimi e rivelatori del loro stare insieme. Qui si dicono più cose che in tutte le conversazioni precedenti. Allo stesso modo, Elena, intrappolata in un matrimonio ormai spento con il Professore malato, custodisce il ricordo di un amore passato e il desiderio ormai soffocato di ballare o suonare il pianoforte. Nonostante le possibilità, Elena non si lascia andare, schiacciata dalla sua situazione presente e dal peso di quel ricordo, che definiva l'amore come un luogo di silenzio condiviso.
Cechov è la prova di come l’uomo rimanga sempre uguale a se stesso, anche attraverso i secoli. La condizione umana è quella di un albero profondamente radicato, che si illude di muoversi con il vento che fa oscillare i suoi rami, ma che rimane sempre fermo. Il passare del tempo cambia il colore delle foglie e porta via i suoi anni, lasciando solo opportunità non colte per paura di affrontarle.
Un’età che avanza, un’età troppo distante da chi si ama, un’età ancora agli albori o un’età ormai troppo avanzata che il tempo spazza via. In Vania, il tempo non è solo elemento narrativo, ma un antagonista silenzioso che agisce sulle vite dei personaggi. La difficoltà di confrontarsi con la propria età emerge continuamente: Ivan, Elena, Sonia e il Professore rappresentano diversi stadi dell’esistenza, ognuno con il proprio carico di insicurezze e sogni infranti. Ivan intrappolato in un’età di mezzo, troppo stanco per rinnovarsi ma ancora consapevole delle sue possibilità sprecate. Elena bloccata in un amore che appartiene al passato e che rende insopportabile il presente. Sonia, nel fiore della sua giovinezza, si confronta con un futuro già perduto: si misura con la giovinezza apparente di Elena, mentre Ivan vive il confronto con il Professore che si indebolisce sempre di più.
L’età è come un filtro che deforma i propri sogni e le relazioni: il confine tra desiderio e realtà, il limite contro cui si scontrano le aspirazioni di ciascuno. La paura di invecchiare, la consapevolezza di non essere abbastanza giovani diventa il blocco principale che impedisce a questi personaggi di spiccare il volo. Un solco incolmabile che lascia ognuno di loro in uno stato di perenne incompletezza.
Ogni personaggio vive in una forma di "sopravvivenza", un’esistenza che oscilla tra momenti di vitalità e stasi, in cui l’illusione del cambiamento si scontra con una paralisi interiore. Sono tutti, in fondo, come il Professore: attaccati alla vita, ma incapaci di viverla pienamente. E in questo equilibrio precario, è impossibile non riconoscere un riflesso di noi stessi.
"Mi ero innamorata dei suoi silenzi – pensavo che l’amore vero fosse quella cosa lì."
Locandina:
Ideazione e regia Stefano Cordella
Drammaturgia collettiva
Con Fabio Zulli, Francesca Gemma, Umberto Terruso e Vanessa Korn
Durata: 80 minuti
- A cura di Margot Océane
Vania
Si può restare ancorati a un'età che non sentiamo nostra?