“Un attimo di vera beatitudine! È forse poco per riempire tutta la vita di un uomo?”
Quante notti passate in bianco, nella voragine di pensieri che ci attraversa in quel momento della sera che un Foscolo tanto contempla, finalmente giunta quella “fatal quiete”, quel momento di profonda serenità che riflette la fine di una giornata, di una morte serena, in cui i desideri vengono placati dai tormenti diurni che porta l'esistenza umana, tormentata, in una transizione dall’inquietudine alla profonda eternità, unica certezza di una voragine che è propria dell’esistenza. "Forse perché della fatal quiete / Tu sei l’immago a me sì cara vieni, / O sera!" (Alla Sera, Ugo Foscolo).
Quante notti in bianco, nell’abisso di pensieri che si apre in quel momento della sera, della notte di un Leopardi, in cui, con il calar del sole, al tramonto, si accompagna una profonda riflessione sulla caducità e sulla fine dell’essere umano, immerso nella ciclicità della natura, simbolo della sua piccola e tormentata vita. Una vita malinconica, colma di insicurezze, rimpianti e paure dell’ignoto, dell’oscurità che da un lato culla e mette fine a tutto, ma dall’altro accende i pensieri più nascosti sul destino umano. "Già tutta l’aria imbruna, / torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre / giù da’ colli e da’ tetti." (Il tramonto della luna, Giacomo Leopardi).
E come vive la notte un sognatore, in preda alla solitudine, nella città di una San Pietroburgo tanto frenetica di giorno, con la luce del sole, quanto misteriosa e silenziosa con il tramonto della luna? Un sognatore romantico, che fugge dall’indifferenza del giorno per immergersi nei suoi desideri ancora sconosciuti, eppure tanto attesi. La notte, diversa da ogni altra, torna ciclicamente dopo il giorno, come una promessa d’amore mai pienamente mantenuta,
È la promessa di un’amata che il sognatore non vede l’ora di riabbracciare, per raccontarle ciò che ha vissuto in sua assenza. Come la luna attende il sole – appuntamento fisso che non si realizzerà mai – così il sognatore vive in un’attesa eterna, tra speranza e disillusione, fino a ritrovarsi, infine, nella solitudine più profonda. La sera, come una promessa di un qualcosa di nuovo, come l’amore che incontrerà una sera nelle vie della città, girovagando tra vie un tempo affollate, ormai deserte, tra pensieri frenetici, che lo porterà a nuove speranze, nuove attese, come un’illusione fugace di un benessere spento, placato, mangiato dalla malinconia e dal ritorno alla solitudine che diventa molto più insistente e dolorosa con l’allontanamento di chi gli ha dato nuove speranze. Il sognatore, di nome e di fatto, senza una vera identità, senza un nome, diventa sogno e sognante allo stesso tempo, vive in attesa di un qualcosa che neanche lui sa bene cosa. E quando crede di aver trovato l’amore, l’attenzione giusta tanto desiderata, tanto sognata per l’appunto, ricade nella voragine di quella solitudine della sera che uccide molto più della morte stessa.
Le notti bianche tornano al Teatro Litta di Milano, con un adattamento teatrale del romanzo di Dostoevskij. Con l'ideazione e la regia di Stefano Cordella, la drammaturgia di Elena C. Patacchini e l'interpretazione di Alma Poli e Diego Finazzi. Qui, lo spettatore è trascinato nella casa del sognatore, cui notti vengono sconvolte dall’incontro con Nasten’ka, una ragazza tanto amata quanto temuta: entrambi, intrappolati nelle loro illusioni e fragilità, si lasciano trasportare da un amore non corrisposto, bloccato da desideri lontani. Lei, legata all’uomo fuggito, non lascia spazio all’amore di lui, che la vede come una luce nel buio, un sole nella notte, irraggiungibile. Un po' come ci riporta Charles Trenet nel suo brano "Le soleil a rendez-vous avec la lune / Mais la lune n'est pas là et le soleil l'attend." (Il sole ha un appuntamento con la luna, / Ma la luna non c’è e il sole l’attende).
In questa visione, Le Notti Bianche diventano attuali, arricchite da elementi come un registratore, una tastiera, una nonna appassionata di La Ruota della Fortuna e di film western, una cena d’asporto, o ancora un dialogo sulla bellezza di un’ipotetica spesa insieme per comprare un semplice spazzolino e del caffè. A sottolineare l’elemento di provvisorietà, oltre alle luci che creano spazi lirici e ai costumi che sembrano viaggiare attraverso epoche distanti, è Luigi Tenco con la sua paura del "per sempre", evocata dalla colonna sonora Ho capito che ti amo, che si dissolve in una nostalgia intrisa di malinconia.
Quattro notti insieme bastano ai due sconosciuti, amici, amanti ad affrontare paure intrinseche in loro, cambiando totalmente il flusso delle loro vite, oppure no. Perché nulla cambia davvero se non si abbraccia fino in fondo quell’amore tanto temuto quanto desiderato. Come trovare la purezza dell’amore dopo un momento di privazione totale di questo: come può, la fame d’amore, non trasformarsi in desiderio ossessivo quando l’amore si presenta davanti alla solitudine?
Le notti bianche: una dolce malinconia delle speranze di un sognatore, del dolore di una donna aggrappata ad un amore fuggito, perduto, del disincanto di chi credeva aver di trovato ciò che gli mancava.
"Invano il sognatore rovista nei suoi vecchi sogni, come fra la cenere, cercandovi una piccola scintilla per soffiarci sopra e riscaldare con il fuoco rinnovato il proprio cuore freddo, e far risorgere ciò che prima gli era così caro, che commuoveva la sua anima, che gli faceva ribollire il sangue, da strappargli le lacrime dagli occhi, così ingannandolo meravigliosamente." (Le Notti Bianche, Dostoevskij)
LA LOCANDINA
da Fëdor Dostoevskij
ideazione e regia Stefano Cordella
drammaturgia Elena C. Patacchini
con Alma Poli e Diego Finazzi
disegno luci Fulvio Melli
scene e costumi Francesca Biffi
assistente alla regia Sofia Tieri
produzione Manifatture Teatrali Milanesi
Date: dal 10/01 al 19/01
Dove: Teatro Litta MTM, Milano
Durata: 70 minuti
- Margot Océane
Le Notti bianche
Da Dostoevskij