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OTTANTANOVE
Vincitore del Premio Ubu 2022 come miglior nuovo testo italiano
   26 Ott 2023   |     Redazione   |     Alessandro Pinna   |     permalink   |      commenti
OTTANTANOVE
di Elvira Frosini e Daniele Timpano, affiancati in scena da Marco Cavalcoli

Il teatro è falsità. Il teatro è inutile, e persino pericoloso, responsabile delle contraddizioni sociali e diffusore di ideologie. Per questo Rousseau preferiva la festa, reale momento di pedagogia e godimento. “Prendete un palo adorno di fiori in mezzo a una piazza, riuniteci intorno il popolo e avrete una festa”. La festa è l’affermazione di un Noi, il teatro è l’emblema di una società classista che separa la scena dagli spettatori e li divide in gruppetti. Così pensavano i rivoluzionari francesi che, abbracciando le idee di Rousseau, ponevano l’accento sull’importanza dell’aspetto comunitario nella società. Poco importava se poi, prese in mano le redini della nazione, spartirono il potere tra una manciata di leader a dispetto del popolo. E poco importava anche che non abrogarono mai il teatro, semplicemente lo trasformarono a propria immagine e somiglianza.

Questa è solo una delle eterne retoriche che cadono fragorosamente in questo spettacolo. Crolla tutto, dalle verità costruite al pensiero unico, all’interno di una narrazione frammentaria che accende la luce su alcuni episodi avvenuti tra il 1789 e il 1989. Ecco perché Ottantanove. Si va dalla caduta figurata dell’ideologia rivoluzionaria a quella reale del Muro di Berlino, di cui rimane in scena un singolo frammento di pietra. Un frammento di pietra e pochi altri oggetti, un minimalismo scenico che rispecchia le poche certezze ancora rimaste in piedi una volta usciti dal Teatro Studio Melato.

In questo lavoro vincitore della Menzione Speciale “Franco Quadri” nell’ambito del Premio Riccione 2019 e del Premio Ubu 2022 come miglior nuovo testo italiano, protagonisti sono Elvira Frosini e Daniele Timpano, accompagnati in scena da Marco Cavalcoli: «Ottantanove non vuole raccontare una storia, o la Storia, ma immergersi in un mito fondativo, nei materiali culturali che lo hanno prodotto e che questo ha prodotto a sua volta. Il nostro è uno sguardo da italiani, da cuginetti d’oltralpe, lo sguardo dei parenti poveri, meno evoluti, da liberare e civilizzare. La Rivoluzione francese non l’abbiamo fatta noi. Anzi. L’abbiamo in parte subita. Ma il nostro è anche uno sguardo da europei occidentali, perché, nonostante tutto, siamo gli eredi della Rivoluzione. Le nostre democrazie, l’Europa di oggi, tutto il mondo in cui viviamo è stato fondato allora.»

La storia francese e quella italiana si intrecciano, tanto che la Marsigliese è in realtà una sonata di Viotti e il dizionario italiano è intriso di parole francesi ormai divenute di uso comune. Risuona la voce di un’anziana signora di Sarzana che tanti anni fa, in una telefonata a Radio Maria, chiese che venisse organizzata una campagna denigratoria contro la rivoluzione francese. E proprio questo atteggiamento diventa il fulcro dello spettacolo, la denigrazione che porta alla rimozione di pensieri ed eventi scomodi. Così come i rivoluzionari cancellarono il vecchio teatro per imporre il proprio, allo stesso modo le registrazioni del divisivo sceneggiato sui giacobini, trasmesso dalla Rai nel 1962 e tratto dall’omonimo dramma teatrale di Federico Zardi, sono tutte misteriosamente scomparse.

Siamo convinti che il crollo del Muro di Berlino ci abbia finalmente restituito la libertà. Ma più precisamente, quale libertà? Ecco, la nostra sicurezza si infrange proprio contro questa domanda, insormontabile perché senza risposta. L’illusione di un avvenuto cambiamento si trasforma nel funerale della nostra democrazia, dove tutto è lecito “purché non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla legge”. Non rimangono che un senso di vuoto e la consapevolezza della nostra impotenza. “Non dobbiamo fare la rivoluzione. Dobbiamo solo ricordarla”. E alla domanda “scendiamo in piazza domani?”, la risposta non può che essere un sarcastico e vano “scendiamo in piazza a vedere quelli che scendono in piazza”.


Durata: 95’ senza intervallo
In scena al Teatro Studio Melato dal 25 al 29 ottobre 2023.

Drammaturgia e regia Elvira Frosini e Daniele Timpano
Collaborazione artistica David Lescot
Con Marco Cavalcoli, Elvira Frosini, Daniele Timpano
Assistenza alla regia e collaborazione artistica Francesca Blancato
Disegno luci Omar Scala
Scene e costumi Marta Montevecchi
Musiche originali e progetto sonoro Lorenzo Danesin
Produzione Teatro Metastasio di Prato, SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione
In collaborazione con Kataklisma teatro e Teatro di Roma – Teatro Nazionale
Residenze artistiche Istituto Italiano di Cultura di Parigi e Città delle 100 Scale Festival
Un ringraziamento a Compagnie du Kaïros
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