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La morte a Venezia
Libera interpretazione di un dialogo tra sguardi
   16 Mag 2025   |     Redazione   |     Margot Boccia   |     permalink   |      commenti
Cosa c’è nella tensione di un abbraccio in potenza, nell'equilibrio di uno sguardo possibile, in un oscillare al centro, nel forte desiderio di agire, tra il mancato agire e l’azione stessa del gesto, di ciò che poteva essere, potrebbe essere, è, e sarà?
Per un silenzio strano si osservano, a una decina di metri.

Liv Ferracchiati, tra voci, parole, immagini, sguardi, danza e video, si imbarca in un dialogo mosso tra l’apparente staticità di chi osserva, agito da pensieri – flussi intervallati dalla ragione – e la forte e continua azione di chi è osservato, nella sua ingenuità o, al contrario, consapevolezza che tende all’apparente indifferenza. In scena, Liv Ferracchiati stesso, al contempo regista e drammaturgo, e l’attrice-danzatrice Alice Raffaelli.

I due si muovono in un dialogo sospeso, in continua evoluzione, che attraversa lo sguardo ispirato al romanzo La morte a Venezia di Thomas Mann, tra Gustav von Aschenbach e Tadzio. Cosa attrae così profondamente di una persona appena intravista, il cui linguaggio è sconosciuto, lontano, eppure evocativo? Che ricorda, ispira, riporta al sapore delle fragole: frutto tanto buono quanto raro, che diventa oggetto di desiderio e, insieme, di timore, nel momento stesso in cui nasce l'impulso del “vado a parlargli”.
Quale desiderio si cela sotto un petto oppresso, quando lo sguardo dell’altro conduce a luoghi sconosciuti ma condivisi, mai detti, eppure vissuti?

Contemplare – dal latino contemplare, composto da con (insieme) e templum (lo spazio del cielo tracciato dall’augure per osservare) – è ogni spazio libero e vasto in cui l’occhio possa vagare a proprio piacere.
In questo contemplare, Gustav si immerge, si perde, e affiorano domande: quale relazione esiste tra la bellezza osservata e il desiderio di possederla? Quanto è egoistico farsi guardare, o voler tenere per sé ciò che è sfuggente, eterno, mentre il proprio tempo si fa breve?

E in quello sguardo – che conosce, che dice – cosa accade oltre la parola? Cos'è quello strano parlare che emerge dal corpo, da un sentire epidermico, pre-linguistico, profondo?

Come le fragole, l’oggetto interdetto (inter-detto) si fa simbolo: da una parte proibito, dall’altra spazio d’azione. Un detto dentro cui accade il dialogo tra due corpi.
Com’è la bellezza a dieci metri di distanza? Percepibile, presente, evocativa. Quanto si può conoscere attraverso il proprio sguardo? Qual è lo spazio tra sé e l’altro, tra sé e quel cielo che si contempla?

Com’è, invece, la bellezza a mezzo metro di distanza? Il tocco è vicino, la vista cambia. La tensione cresce nello spazio ristretto, dove la temperatura e il colore mutano. A questa distanza, la bellezza venerata, resa immensa e potente, diviene fragile nella sua stessa imperfezione.
Una pelle con qualche ruga, qualche traccia di vissuto.
E qui Gustav si rispecchia: si ricorda delle proprie imperfezioni, nascoste e temute, e della vergogna che nasce dal timore del giudizio, prima ancora che dallo sguardo altrui.
Come si vive in un corpo che cambia, che non può nascondersi di fronte a una visione giovane che potrebbe essere tanto reale quanto immaginaria, tanto forte quanto fragile, tanto capace di amare quanto di distruggere?

Una macchina fotografica su un treppiede al limitare delle onde.
Uno scrittore che muore su una spiaggia, per aver mangiato fragole contaminate dal colera: simbolo dell’inesplorato che abita ognuno.
È forse questo il gesto del coraggio?
Fare qualcosa che espone al rischio, ma anche al riconoscimento profondo?

La morte a Venezia di Liv Ferracchiati diventa punto di partenza per una ricerca sugli sguardi, sugli incontri rari, quasi magici, che danno altrettanta vita quanto la loro stessa impossibilità. È il movimento di un’esistenza vissuta tra l’ondeggiare delle maree, nell’urgenza della scrittura, nella fatica di trovare parole che non sempre esistono, ma che si cercano – perché necessarie per condivider-si.

Eppure, spesso, la parola trovata finisce per uccidere lo sguardo, che nel suo “s-guardo” – guardar come proteggere, come tenere – diceva già tutto, forse di più.

Qual è la distanza giusta per contemplare?
Quanto essa è necessaria per conoscere l’altro - e sé stessi?
Quanto, invece, la distanza uccide il desiderio di annullarla? E quanto può rivelarsi feconda, evocativa, fonte di vita e di domande senza risposta, fatte solo di immagini, colori, impressioni?
Un atto continuo e infinito di con-templ-azione.

Cosa rimane?
La morte.



La Locandina
La morte a Venezia
Libera interpretazione di un dialogo tra sguardi
ispirato a La morte a Venezia di Thomas Mann
drammaturgia e regia di Liv Ferracchiati
con Liv Ferracchiati e Alice Raffaelli
movimento Alice Raffaelli
dramaturg Michele De Vita Conti
aiuto regia Anna Zanetti / Piera Mungiguerra
assistente alla drammaturgia Eliana Rotella
scene Giuseppe Stellato
costumi Lucia Menegazzo
luci Emiliano Austeri
suono spallarossa
voce di Tadzio Weronika Młódzik
consulenza letteraria Marco Castellari
produzione Spoleto Festival dei Due Mondi, Marche Teatro, Teatro Stabile dell’Umbria, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
in collaborazione con Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa





- A cura di Margot Océane
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