L'estate scorsa mi chiama un amico e mi fa "Oh, andiamo a sentire Bugo all'ARCI Festa a Piacenza?".
Le alternative erano solo due: o sarebbe stato una merdata clamorsa o ne sarei uscito estasiato.
Purtroppo vivevo di quel fondo di pregiudizio che si ha di chi arriva a Sanremo senza essere un volto nazionalpopolare e diventa - suo malgrado - vittima di un episodio virale.
Dopo due ore di concerto avrei voluto dargli tutti i miei soldi per fargliene fare un altro.
Da quel momento ho provato a seguirlo ovunque e non potevo perdermi il suo ultimo concerto della carriera. A distanza di qualche giorno, ancora non credo del tutto che un concerto di fine carriera il primo aprile non sia in fondo un grande scherzo per annunciare un nuovo disco, un nuovo tour o qualche progetto per il 2025 per grattare il più possibile, come ormai si vede ovunque nella scena italiana.
Bugo è uno dei cantautori più umili e sinceri che abbia conosciuto in anni in cui mi sono intrufolato illegalmente nei backstage, uno che crede davvero nel potere trasformativo della musica, fuori da logiche di mercato o di amichettismo.
L'Alcatraz è quasi sold out, pieno di fan - nel senso vero di 'fanatici' - di cui leggo ogni giorno i messaggi nel gruppo telegram "io mi Bugo". Gente insospettabile che a quarant'anni ha deciso di attraversare mezza Italia per venire a Milano un martedì sera per un concerto. Eroi, per me.
Il concerto non è un addio dolce, non è una chiusura in punta di piedi è un'esplosione di energia e purezza che non lascia spazio alla nostalgia.
In quelle due ore con le canzoni una di fila all'altra come facevano i Ramones, con pochissimi stacchi parlati - "Perché ora tutti spiegano le loro canzoni prima di suonarle, ma che cazzo me ne frega, se volevo sentire uno che parla andavo ad uno spettacolo" - attraversa tutta la sua carriera musicale.
Non mancano gli ospiti, nomi per lui importanti senza essere in hype in questo momento, tra cui segno Aimone Romizi dei FASK che, contro ogni aspettativa, non canta ma suona la batteria in un pezzo.
Poi arriva la seconda parte del concerto: il Bugo più intimo. Solo chitarra e voce con pezzi come "Che diritti ho su di te", "Spermatozoi" e "Vorrei avere un dio", in quell'equilibrio tra poesia e urla sgrammaticate, tra fragilità e potenza.
Il pubblico grida, fa i cori come in curva allo stadio, lo incita con “Non mollare!” e Bugo risponde: “Ma io mollo proprio per non mollare!”. La risposta è la sintesi perfetta di una carriera che ha preso una strada sincera fino in fondo.
Il finale, con un nuovo cambio di formazione della band che lo accompagna, è un'esplosione emotiva. I brani come "Casalingo", "Me la godo" e "Non lo so" raccontano l'evoluzione di Bugo a cantautore rock'n'roll.
Il finale, l’ultima canzone con cui chiude la carriera, "Io mi rompo i coglioni" la fa con tutti gli ospiti sul palco e il pubblico che fa un'invasione di campo in un ultimo momento collettivo. Tutti cantano, tranne lui che sta sul palco a saltare. Nessun bis, nessun finto saluto da scaletta. Solo un atto di purezza rock.
Bugo non era mai stato un artista che aveva bisogno di farsi dimenticare, però - se sarà per sempre - ci ha salutati nel modo migliore. "E' meglio bruciare che spegnersi lentamente" diceva Cobain. E l'Alcatraz l'altra sera è andato a fuoco.
L'ultimo concerto di BUGO
La fine della carriera all'Alcatraz