In occasione del suo spettacolo "Il talento di essere tutti e nessuno", in scena al teatro Manzoni domenica 13 ottobre, abbiamo avuto l'occasione di intervistare Luca Ward, uno dei più famosi doppiatori e attori italiani.
Questo è uno spettacolo teatrale, ma noi siamo abituati a vederti principalmente nei panni di attore e doppiatore. Volevo chiederti: come si influenzano a vicenda tutti questi ruoli? Passare dal doppiaggio all'attore, al teatro?
Sono segmenti dello spettacolo, ma sono tutti molto diversi tra loro. Il teatro è uno spettacolo dal vivo, quindi parti da un punto e devi arrivare a un capolinea. Naturalmente c’è tutta una preparazione dietro, si fanno prove su prove... insomma, è abbastanza complesso lo spettacolo dal vivo. È forse quello più difficile.
Però è anche il più realistico, più vero, dove il pubblico capisce realmente chi c’è su quel palcoscenico. Invece cinema e televisione sono costruiti in maniera completamente diversa. Non si fanno settimane di prove. Se sbagli, rifai. In teatro, se sbagli, è sbagliato. Punto. Magari il pubblico non se ne accorge, ma noi sì, e ci dispiace. Sono mondi molto diversi: doppiaggio, cinema, teatro, televisione... sono tutte discipline molto diverse tra loro.
A questo proposito, confermi l'idea che un attore di teatro è capace di fare cinema, mentre il contrario non è sempre vero?
Assolutamente sì. Sono fermamente convinto che gli attori si formino sui palcoscenici. Il teatro insegna l’arte recitativa. Poi, certo, il cinema e la televisione hanno tecniche specifiche da imparare. Il doppiaggio, forse, è la tecnica più complessa. Ma chi si è preparato in teatro ha già l’arte recitativa in tasca. Deve solo apprendere le tecniche del cinema, della televisione e del doppiaggio.
Riguardo al teatro, c’è il tuo spettacolo, “Il talento di essere tutti e nessuno”, che ha un titolo simile alla tua autobiografia uscita un paio di anni fa. Ci vuoi dire qualcosa a proposito del titolo?
Il libro l’ho scritto principalmente per dare un messaggio ai giovani. Ho preso tanti "treni in faccia" nella vita, ma non mi sono mai arreso. Anzi, i treni i treni che ho preso addosso sono stati di sprone, i tanti no che ho ricevuto nella mia vita, nella mia carriera, non mi hanno mai abbattuto, mai.
Oggi i ragazzi più facilmente di fronte a un no si sentono spiazzati. Ho scritto quel libro per i giovani, per incoraggiarli a non arrendersi mai. Io sono padre di tre figli, alcuni sono anche in in età adolescenziale, per cui certe problematiche, soprattutto legate ai giovani d'oggi, le conosco molto bene.
Lo spettacolo, però, non è un’autobiografia. È uno spettacolo interattivo che coinvolge il pubblico. Ci saranno delle prove fisiche, niente di preoccupante, ma divertenti. Racconto aneddoti dietro le quinte, perché il pubblico non sa cosa succede ma sono spesso cose molto divertenti.
E poi ci sono delle cose che facciamo insieme per abbattere quella famosa quarta parete che sin da ragazzo, quando ho cominciato a fare teatro, non mi è mai andata giù. A me di mettere questa quarta parete non mi piaceva granché e con questo spettacolo io la abbatto completamente.
Coinvolgo il pubblico, facendo doppiare grandi film. Scelgono loro chi doppiare. E devo dire che si divertono moltissimo, scopriamo anche talenti nascosti. Alcuni scoprono di avere un talento che non immaginavano.
Lo spettacolo lo facciamo insieme, infatti tutte tutte le sere lo spettacolo è diverso, lo spettacolo cambia.
Cosa vorresti che il pubblico portasse a casa dopo lo spettacolo?
Noi giochiamo poi alla fine tutta la vita, interpretiamo ruoli diversi. Ogni giorno siamo di fronte a personaggi che cambiano di volta in volta ed è sempre comunque un gioco. È molto divertente. Io interpreto per esempio i cattivi e mi piace molto farli, perché non lo sono nella vita, anche se qualche volta mi sarebbe piaciuto esserlo.
Quello che che che mi piace, soprattutto, è anche far vedere il lato umano di noi attori, perché siamo sempre visti come dei personaggi, come degli extraterrestri. Ma noi siamo uomini donne, come tutte le persone del mondo. Facciamo un mestiere di intrattenimento, noi intratteniamo le persone, ma poi dietro ci sono vite, persone, uomini, donne, figli, mariti, mogli, gioie, dolori, come nella vita di tutti quanti.
Hai parlato di raccontare aneddoti o comunque esperienze del dietro le quinte. Ti volevo chiedere allora se c'è un momento che racconti sempre che senti particolarmente significativo tra quelli che di solito racconti.
Sì, quando ho iniziato a fare teatro a 16 anni. Mi dissero che per formarmi come attore dovevo fare teatro. Non volevo andarci perché era difficile conciliare studio e teatro, ma alla fine ci sono andato. Sono stato catapultato in un mondo che mi ha anche spaventato. Perché gli attori teatrali sono molto legati alle tradizioni, ma soprattutto alla scaramanzia: non si passa sotto la scala, non si guarda dal sipario il pubblico prima dello spettacolo, oppure, per esempio, dopo una prima andata bene gli attori poi ripetono per tutte le repliche a seguire anche fossero mille, tutte le battute, i gesti. Ti sembra di stare in un branco di matto.
E infatt io un po' di teatro l'ho fatto, poi sono scappato e sono andato nei musical, dove l’ambiente era più leggero.
Abbiamo parlato del teatro. Ora non vogliamo raccontare troppo dello spettacolo, ma invitiamo tutti a vederlo il 13 ottobre al Manzoni. Hai accennato a un punto importante: la difficoltà per i giovani di oggi di non arrendersi. Vuoi dire qualcosa in più?
Io sono stato un ragazzo come tutti quanti anche se l’epoca era diversa, ma non cambierei i miei anni con i vostri. Oggi vivete in un’epoca più complessa, anche se con mezzi straordinari. Ma la considerazione per i giovani è pari a zero, invece quando io ero ragazzo questa cosa non c'era.
Quando ero molto giovane a un certo punto mi ritirai dalla TV, mi dedicai al doppiaggio. Perché per me era una sfida gigantesca. Mi sono sentito dire per tanti anni "Luca, questo mestiere non è per te, lascia perdere". Io ho sempre detto "Boh, ma perché questi mi dicono così? Per quale motivo?" Perché io sentivo dentro di me che forse c'era qualcosa, è che non avevo capito il meccanismo del doppiaggio, che è difficilissimo. Lavori solo con la voce, non sei aiutato dal fisico, dal corpo, dai movimenti, sei fermo davanti a un microfono.
Vedevo anche i miei colleghi o comunque i miei amici dell'epoca che non si arrendevano mai. Se ci chiudevano una porta, andavamo a bussare a un’altra. Oggi, al primo "no", i ragazzi vanno in panico. Bisogna crederci fino in fondo e non arrendersi mai.
Quello che che oggi è importante, visto che i giovani non se li fila proprio nessuno, i ragazzi devono fare da soli. Devono fare da soli, devono contare sulle loro forze, si devono formare. Quella è la cosa più importante, studiare, formarsi, essere preparati, ma per tutti i mestieri. Essere affidabili, l'affidabilità è fondamentale.
Sì, sono assolutamente d'accordo. Soprattutto è un discorso molto importante per il nostro contesto, che comunque siamo all'università, al Politecnico, con molti studenti che magari a un primo no, che può essere quello di di un esame, si sentono totalmente spaesati e affranti da dalla situazione.
Eh sì sì, la prendono proprio come una sconfitta totale. Ma no, ma la vita è fatta anche di sconfitte, vanno messe in preventivo. Non si può vincere sempre, magari sarebbe fantastico.
È ogni volta che pianti un chiodo nel muro TAC entra subito, a volte sbecchi il muro. È inutile prendersela. Insomma, poi piano piano imparerai a battere quel chiodo come deve essere battuto e a tenere quel martello come deve essere tenuto.
In Italia per esempio non esiste la commistione, che c'è anche all'estero, moltissimo, tra i grandi e i giovani, che invece c'era quando io ero ragazzo. A noi chiamavano proprio a bottega, ci pagavano, e ci insegnavano i mestieri. E mettere insieme le persone più grandi e i più giovani, metterli a lavorare insieme sono una bomba esplosiva. Perché da una parte hai l'esperienza di chi ha percorso tanti, tanti chilometri, dall'altra hai la freschezza, l'esuberanza, la forza, l'energia che a una certa età magari mancano.
Allora volevo farti un'ultima domanda, che è un po un collegamento con noi che siamo una radio, non so se vedi delle similitudini tra il doppiaggio e fare la radio e se magari hai anche qualche Consiglio da darci in caso.
La radio è un mezzo straordinario. La davano per morta qualche anno fa, con l'avvento della televisione. Invece la radio è sempre in aumento, semmai la tv e il cinema stanno calando.
Perché? Perché è viva. È come lo spettacolo dal vivo. Il teatro oggi gode di ottima salute, rispetto a qualche anno fa, proprio perché è vivo come la radio.
La cosa fondamentale per chi fa radio è intanto conoscere molto bene la lingua italiana, e poi avere una dialettica molto forte. Ma soprattutto pensare sempre che dietro a quel microfono ci siano ci sono milioni e milioni di cuori, milioni e milioni di persone, uomini, donne, ragazzi che stanno lì e vi ascoltano, che ascoltano quelle voci che arrivano.
È una cosa che io faccio ad esempio al doppiaggio. Quando vado al doppiaggio la prima cosa che faccio mi immagino la sala del cinema, immagino le persone sedute chi con i pop corn, chi col gelato, chi con una bibita, tuttu che aspettano di vivere due ore emozionandosi.
La stessa cosa vale per la radio, quando comincia una trasmissione che ti interessa vuoi essere coinvolto e quello dipende molto da chi conduce e da come ha educato la sua voce, perchè bisogna saper entrare con la voce nel cuore delle persone, nella testa delle persone.
Allora ti ringrazio di nuovo e invito tutti ad andare allo spettacolo il 13 ottobre al teatro Manzoni.
Soprattutto i giovani, soprattutto i giovani.
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Intervista a Luca Ward in occasione del suo spettacolo al teatro Manzoni