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Very Long Song Artist

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David Bowie e Freddie Mercury: l'ultimo duetto
Un omaggio ai due cantanti che hanno saputo unire le loro voci, legati ad anni di distanza nei loro ultimi video musicali
   10 Mar 2016   |     Voci nel buio   |     Daniele Ferrini   |     permalink   |      commenti
A due mesi dal 10 gennaio è ancora difficile metabolizzare l’idea della scomparsa di un uomo, che con una camaleontica narrazione musicale, ha saputo incarnare i cambiamenti degli ultimi quaranta anni. David Bowie è morto o più esattamente ha affrontato la sua ultima metamorfosi in modo consapevole, come suggeriscono la tempistica di uscita dell’album Blackstar ma soprattutto gli ultimi due clip estratti, carichi di significati premonitori. Lazarus in particolare è stato indicato come il video-testamento ed effettivamente sono molteplici gli elementi che suggeriscono questa lettura. Cosa ancora più interessante è notare una certa risonanza con quanto fatto dai Queen a suo tempo, il cui parallelo è sicuramente degno di qualche considerazione.

Nel video di Lazarus, pubblicato tre giorni prima della morte di Bowie, troviamo forti riferimento al doppio che si traduce in un dialogo vita-morte, bianco-nero. Il video di apre con una figura femminile che esce da un armadio buio, una sorta di varco che ci porta dentro una camera di ospedale. La ripresa stacca su un letto dove giace un Bowie bendato e vestito di bianco, un lascito del video Blackstar (opera ancora più e complessa dove si scorgono riferimenti metafisici, un monito contro i falsi idoli e anche una sottile auto-ironia dell’icona incarnata). Tornando al video, lo scorrere della camera ci rivela un Bowie impaurito e perso che viene all’improvviso colto da un barlume di consapevolezza, proprio all’apertura della prima strofa

“Look up here, I’m in heaven

I’ve got nothing left to lose”

Continuando con il testo Bowie sembra entrare in un nuovo stato, reso visivamente con un fluttuare del corpo sopra il letto in una sorta di distaccamento metaforico dalla vita terrena. Un allontanamento che quella figura femminile già menzionata cerca di evitare, con un tentativo vano di trattenerlo da sotto il letto. Il percorso è però inevitabile e allo stesso tempo sorprendente, come suggerito dai movimenti della camera che ribaltano la prospettiva con un incedere lento e continuo. E’ chiaro il riferimento di un passaggio ad un mondo ultraterreno, da conoscere con braccia aperte. In questo momento entra in campo dallo stesso armadio iniziale un altro David, vestito con tuta nera attillata in concomitanza con il verso

“By the time I got to New York

I was living like a king”

Il testo riporta al mondo del suo cammino musicale che lo ha fatto viaggiare tra Londra, Berlino e New York. Le movenze al contrario danno l’impressione di un rimando scanzonato e autoironico del proprio essere icona pop. A questo punto entra nel vivo il dialogo a distanza del doppio Bowie: da una parte il David Bianco continua il suo percorso alla scoperta di un mondo nuovo, dall’altra parte il David Nero imbraccia una penna per continuare il suo racconto terreno, arrivato però alla fine. Non è solo l’espressione spaventata di Bowie a rivelarlo, ma il fatto che lo spazio del foglio su cui scrive è finito. Nel climax musicale finale si svolge il momento della piena consapevolezza: David accetta il passaggio a questa nuova condizione rivolgendosi con braccia elevate ad una realtà superiore, mentre la sua parte terrena continua a scrivere oltre i bordi del foglio, incidendo sul leggio. Il messaggio è evidente: l’urgenza di raccontare, creare, ispirare è assolutamente viva ma tutto deve fermarsi. Ed è lo stesso Bowie ad accettarlo e a metterlo in mostra, impersonando proprio la sua versione con la tuta nera che, completando il cerchio, rientra nell’armadio oscuro. Un simbolo di morte e di rinascita.

"Oh I’ll be free

Ain’t that just like me"

Più che un testamento, il clip gioca sottilmente tra l’autoironica messa in scena di una star e l’onesto commiato di un uomo. È un messaggio di cui troviamo tracce simili nel saluto di un'altra persona legata a doppio nodo con il Duca Bianco: Freddie Mercury. Se il primo legame lo troviamo nella famosa collaborazione Under Pressure, il secondo lo possiamo scorgere nell’ultimo video dei Queen con tutti i componenti: I’m going slightly mad.

Di fatto l’ultimo clip realizzato dai Queen è These are the days of our lives (30 Maggio 1991), ma le condizioni di Freddie sono così gravi che il tutto si limita ad una semplice rappresentazione in playback senza fronzoli. In I’m going slightly mad (Febraio 1991) l’esibizione di Mercury è carica e insieme agli altri membri del gruppo chiude un percorso musicale, suggerendo un messaggio di fondo ben diverso.

L’impianto visivo del video è incentrato su un forte contrasto buio-luce attraverso un occhio di bue tipico del palcoscenico e della messa in scena, che funge da confine vita-morte. Elementi emersi, come già scritto, in Lazarus. Il video si apre con una sedia vuota dove compare un Freddie Mercury dimagrito, pesantemente truccato e con parrucca, a metà tra un clown e una figura da casa dell’orrore. Espediente necessario per nascondere i segni evidentissimi della malattia e per giocare con la pazzia che fa da sfondo alla canzone. Con il seguire delle immagini, però, questa figura assume un altro ruolo. A partire dalla scena successiva, dove una distesa di narcisi a prima vista bucolica diventa la metafora di un camposanto da cui spunta sinistramente il Freddie-clown, con un testo che lascia poca immaginazione

“One thousand and one yellow daffodils

Begin to dance in front of you – oh dear

Are they trying to tell you something?”

Nel video prendono corpo le paradossali visioni enunciate nel testo, alcune di queste sembrano più trovate scanzonate come il famoso casco di banane di Mercury o il bollitore incandescente sulla testa di Roger Taylor. Ma altre nascondo un sottotesto neanche troppo celato: una vite gigante, simbolo dello scorrere senza fine, fa da sfondo all’incontro improvviso tra John Deacon vestito da giullare con un Freddie Mercury che sembra voler portare un messaggio funereo

“You’re missing that one final screw”

Come a dire che il tempo è trascorso, anche in modo leggero, ma ora è arrivato al termine. E’ lo stesso frontman, malato terminale, a incarnare questo passaggio sotto un occhio di bue che per tanti anni lo ha illuminato ma che ora assume un altro significato. Un vero muro che lo separa dai suoi compagni di viaggio, i quali a loro volta non possono fare altro che allontanarsi da questa figura che non riconoscono perché ormai parte del mondo dei morti. (Chi c’era, può anche trovare una sottile allegoria alla condizione emarginata di omosessuale e malato di AIDS, che alcune campagne pubblicitarie avevano messo in risalto a suo tempo).

Nel passaggio tra vita e morte c’è però spazio per ricordare e mettere a posto i dissidi del passato: lo stesso divano fa da sfondo ad una spassosa resa dei conti tra i membri di un gruppo in cui i litigi non sono mancati, ma che ormai possono solo dimostrare la loro amicizia (Ricordiamoci che Innuendo è l’unico album in le canzoni sono firmate dai Queen senza differenziazione, mentre negli anni passati i diritti d’autore avevano spesso inquinato i rapporti). Le ultime immagini chiudono con semplicità e bellezza l’impianto del video: l’ultimo saluto spetta a un Freddie Mercury sereno, con gli occhi puntati sulla quella luce che lo illumina e con una espressione che parla da sola. L’ultimissima ripresa mostra Deacon-giullare scalare dei gradini raggiungendo la vetta in modo vittorioso, per poi veder scomparire tutto a parte il copricapo che rimane a fluttuare a mezz’aria. Un We Are the Champions che assume un valore eterno, valido non sono per il gruppo ma per chi li ha seguiti, un modo per dire che le tracce rimangono anche dopo il nostro passaggio.

Va da sé che queste interpretazioni possono essere ampliate o contraddette con diverse letture; risulta però innegabile una certa risonanza tra i due esempi riportati. Al di là di coincidenze e mere analisi visive, lo spunto permette una considerazione. Stiamo parlando di personaggi baciati dalla fama, di nomi che spesso rientrano nella quotidianità di milioni di persone, diventando dei punti di riferimento, dei miti, dei compagni di avventure e disavventure. È lo star system, baby! Ma ci sono casi dove dietro il personaggio rimane la persona. Affrontare un momento così intimo, condividendolo con tutte quelle persone che hanno toccato da lontano non è solamente una ultima performance. E’ un modo per mostrare il proprio lato umano e passare il testimone: nella propria fine c’è anche l’inizio di altro, questo vale per tutti. E sapere che a nostro modo abbiamo ricevuto questo testimone ha un suo significato.



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