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Gallina vecchia anche basta
L'attacco al treno di Clint Eastwood
   08 Feb 2018   |     Start Rec   |     Luca Fontò   |     permalink   |      commenti
Il 21 agosto 2015, su un treno ad alta velocità partito da Amsterdam e diretto a Parigi, tre giovani americani salvarono la vita a circa cinquecento persone intercettando l’attacco terroristico di Ayoub El-Khazzani, venticinquenne marocchino munito di un fucile d’assalto AKM, una pistola Luger Po8 9mm, nove caricatori, un coltellino e una bottiglia di benzina. A questo evento, Wikipedia Italia dedica una paginetta non molto più lunga del mio compendio; già la versione USA sbrodola il diagramma della posizione degli altoparlanti sul treno, le coordinate geografiche dell’attacco e l’elenco, nome e cognome, dei passeggeri coinvolti. Come ho sentito dire alle mie spalle, in sala: non c’è storia. Per cui, per occupare novantaquattro minuti di pellicola, bisogna andare indietro, quando i tre giovani americani, eroi senza macchia, erano a Sacramento – studenti di scuola media col deficit dell’attenzione – e passavano più tempo nell’ufficio del preside che non in aula. Si chiamavano Spencer Stone, Alek Skarlatos e Anthony Sadler: e quando non lanciavano la carta igienica sulle case dei vicini giocavano ad ammazzarsi in tuta mimetica, dicendosi: «la guerra è speciale». Uno, a quattordici anni, aveva appeso in camera i poster di Full metal jacket e Letters from Iwo Jima. Un altro, la faccia di Eastwood su una maglietta. Su tutte le pareti di tutti gli edifici c’è incorniciata la bandiera americana, oppure l’immagine di Gesù. Inutile dire che due su tre finiscono con l’arruolarsi nell’esercito: perché altrimenti al regista di questo film tutta questa storia non sarebbe interessata manco sui giornali. Spencer Stone, che non è il fratello di Emma, risulta però fuori forma (niente paura, il trucco prostetico non è dei criminali di J. Edgar): in una breve ellisse da manuale del primo anno di Scuola del Cinema, allora, beve centrifugati, fa le flessioni e corre: incredibile che perda 15 kg dato che corre nel modo in cui si smaltiscono i carboidrati, e non i grassi. Tutti e tre (il terzo, stando al film, è un nullafacente) organizzano su Skype un tour per l’Europa. Cominciano da Roma, con Volare di Modugno in sottofondo; poi vanno a Venezia, dove mangiano la pizza. Con tutti i cliché a loro disposizione, non servono certo le guide (anzi, quando ne hanno una la contestano, perché non fa affidamento ai libri di Storia americani). Sul traghetto incontrano una californiana loro coetanea, alta, magra, bella, senza impegni e incredibilmente in viaggio da sola. Fanno una ventina di selfie perché uno è Instagram-addicted e poi finiscono in discoteca nei Paesi Bassi (la californiana si volatilizza senza che ce ne accorgiamo), in una discoteca partorita dalla mente del regista 87enne, sostenitore e finanziatore di John McCain per le elezioni presidenziali del 2008, sostenitore in precedenza di Nixon ma, a detta sua, repubblicano. In soldoni: la discoteca pullula di ragazze alte, magre, belle, senza pantaloni e incredibilmente mute. Il giorno dopo i tre eroi americani senza macchia – che ancora non sono eroi ma sicuramente non hanno macchia – decidono di prendere il treno e andare a Parigi, di cui tutti però, stando al film, parlano male: e qui comincia la pellicola, anche se mancano venti minuti alla fine.
Io non so bene quando Clint Eastwood si sia rincretinito perché, fra le tante passioni pur discutibili che ho, la gerontofilia ancora mi manca. E pure il patriottismo esterofilo. Però non stento a immaginare che la vecchiaia porti a ricordare solo una porzione delle cose: quella positiva. Le storie «di coraggio», i cavalieri senza paura, l’America primo amore (cit.). Come dice il regista stesso, «è tutta una questione su ciò che il destino ti riserva»: per cui poco importa che un ragazzino sia stato una capra a scuola, che abbia risposto male agli insegnanti, che abbia coperto di carta igienica le case del quartiere colpito dal deficit dell’attenzione e si sia arruolato nell’esercito pur non avendone le qualità percettive: eroi si nasce, non si diventa; soprattutto se si confida nell’insegnamento del Signore per cui «è solo con la morte che arriva la ressurezione». (Attenzione, non ho niente contro i cattolici, ho molti amici cattolici). E allora dopo il pilota Chesley Sullenberger, il cecchino Chris Kyle, il direttore dell’FBI J. Edgar Hoover e il rugbista François Pienaar, tre nuovi eroi americani si aggiungono al cinema di Eastwood: tre al prezzo di uno. Letteralmente: perché siccome, a differenza del predone, l’eroe non lo si può interpretare, ma eroe si è – nel 2016, consegnando ai ragazzi l’Hero Award, Eastwood ha pensato bene di reclutare loro stessi per interpretare i tre ruoli. Sarà che costavano meno? Poco importa, perché anche oggi l’Europa è salva grazie agli americani: che non sono mai in vacanza, neanche quando sono in vacanza.
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